Di seguito la descrizione di Vanessa Maggi.
L’artista, coinvolto da sempre in operazioni ispirate da disparate matrici mistiche e filosofiche, definisce ora il progetto del rotolo di grande spessore sul piano ideologico. L’artista, in una posizione “laterale” rispetto alla maggioranza degli autori contemporanei, calca coraggiosamente una propria visione del mondo depurata da odio e violenze, da confini geografici che si rivelano inesistenti e riduttivi, poiché determinanti disgregazioni e incomprensioni latenti, ora politiche, ora razziali o religiose.
L’opera è un rotolo di tela grezza sul quale ha impresso tratti di una mappa immaginaria del mondo conoscibile, azzerandone i confini per reinventare un planisfero surreale, mescolato, deprivato di blocchi e frontiere. L’intento utopico si rivela nelle immagini che lo compongono, nei toni cromatici tenui del supporto, nei bianchi e nelle chine delle carte geografiche che manifestano un intimo senso di umiltà nei confronti di esperienze culturali e artistiche vivaci e talvolta prorompenti, che l’artista rinnovato accoglie nel suo seno, ognuna con il proprio linguaggio di cromie accese e di presenze descritte da un tratto elementare. Le raffigurazioni lasciate agire liberamente nello spazio geografico sono il prodotto di mani esperte e di potenti riflessioni spirituali e cosmogoniche.
L’abbraccio che l’artista offre alle popolazioni tribali e alle comunità rurali discoste nel pianeta, occorre a interpellarle in un viaggio immaginario e simbolico, che si fa attuale e concreto nell’azione dello spostamento del soggetto che va loro incontro e nel messaggio. La corrispondenza del pensiero è totale e assoluta, una stretta di culture diversificate. L’opera infatti accomuna le sette tradizioni, sperimentando un senso di condivisione e di unità.
Il percorso descrittivo segue quello fisico del pellegrinaggio, che, nell’arco temporale di quasi tre anni, attraversa le sette parti del globo terrestre. Comincia con Saul Eleuterio Carillo, della comunità di artisti Huichol, a Guadalupe Ocotàn in Messico; prosegue in India, con Venkat Raman Singh Shyam, artista Gond di Bhopal; s’inerpica sui monti del Nepal, in compagnia di tre monaci tibetani pittori di Mandala. Sarà poi alla volta del Perù, con la pittrice shipibo Lastenia Canayo Garcia, e del Bangladesh, con Totini Saha e Salina Akter, ricamatrici Kantha di Jessore. Ancora una volta scenderà i picchi dell’Atlas in Marocco, con il calligrafo Sadik Haddari e infine in Corea del Sud, assieme a Son Oe Ja nel monastero Bomunsa.
Le tappe del “viandante innamorato” Tarshito si soffermano in territori il cui sapere ancestrale vuole comunicare al mondo un messaggio urgente di presa di coscienza e distacco dalle guerre e dalle divisioni di ogni sorta. Accomunati da una medesima idea di rispetto del pianeta e degli esseri che vi risiedono, gli artisti chiamati in causa condividono con Tarshito le proprie tradizioni, gli antichi miti, i rituali e le leggende, per farsi portatori di un univoco anelito per il futuro: “una sola terra…, una sola umanità”.
L’opera continuerà il suo viaggio virtuale in una serie di esposizioni internazionali, prossimamente a Lima in Perù presso l’Istituto Italiano di Cultura, dal titolo: Tarshito fall in love with Perù con varie altre opere che inquadreranno il progetto del rotolo del Sentiero del viandante innamorato.
Recensione di Vanessa Maggi
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